Alda Merini, «matta in mezzo ai matti»

Questa settimana abbiamo deciso di raccontarvi di una delle poetesse più incisive di tutto il Novecento: Alda Merini. Dalla sua stilografica sono nati i versi che hanno fatto commuovere e riflettere intere generazioni; pochi conoscono però il percorso travagliato che ha accompagnato la sua letteratura. 

Nata nel 1931 a Milano, fu il padre a regalarle già in tenera età un vocabolario spiegandole il valore delle parole; ma non bisogna dimenticare che gli anni della seconda guerra mondiale furono impetuosi e non risparmiarono nemmeno la famiglia della poetessa milanese, che nonostante il talento riconosciuto dai suoi insegnanti sentiva echeggiare nelle orecchie la sola frase che i genitori riuscissero a ripeterle meccanicamente: “cara, la poesia non dà il pane”. Incompresa dai familiari, e forse anche per ribellione giovanile ad un ambiente che ostacolava la sua creatività, non smise mai di scrivere; e oggi si può dire: fortunatamente. 

Aveva solamente sedici anni quando necessitò per la prima volta di assistenza in un centro per la salute mentale: l’autrice ha infatti convissuto e combattuto per tutta la sua esistenza con un disturbo bipolare della personalità, che la portò a diversi ricoveri in strutture dedicate ai disturbi psichici. Non nascose mai la sua malattia e, anzi, poiché gli istituti in cui venne internata erano veri e propri manicomi antecedenti alla legge Basaglia del ’78 che ne stabiliva la chiusura, si schierò in prima fila nel denunciare quali orrori venivano commessi tra quelle mura; la grandezza di Alda Merini fu quella di identificarsi come una donna comune, con debolezze comuni, con una malattia comune: era, come amava definirsi, “matta tra i matti”. 

A nemmeno vent’anni iniziò a farsi conoscere grazie alle prime pubblicazioni, apprezzate anche da altri grandi autori della scena di quel periodo quali Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo; con quest’ultimo instaurò un solido rapporto dapprima di lavoro e, in seguito, di amicizia. Nel 1953 sposò Ettore Carniti, matrimonio che, come raccontò lei stessa durante un’intervista, fu incoraggiato dalla condizione di povertà in cui verteva la famiglia dopo la guerra. Dalla loro unione nacquero quattro figlie, ma nessuna di loro trascorse più di qualche anno al fianco dei genitori, affidate alle cure di altri anche a causa della malattia della madre, che si stava affacciando ad uno dei periodi più bui della propria vita: quello degli internamenti al manicomio Paolo Pini. Evidentemente compromessa dal disturbo e dai trattamenti sanitari, non è possibile sapere se la mente di Alda avesse smesso di descrivere il mondo in versi, tuttavia la sua penna rimase muta per anni.

Riprenderà a scrivere soltanto nel ’79 e continuerà a farlo anche in seguito alla morte del primo marito; dopo il lutto si sposerà nuovamente e si trasferirà per quattro anni a Taranto. La rinascita letteraria porterà con sé un primo testo in prosa, L’altra verità. Diario di una diversa, che insieme alle ultime produzioni poetiche la proclamerà a tutti gli effetti come una delle figure più intense del mondo intellettuale degli ultimi cinquant’anni. Si spegnerà nel 2009 e i funerali di Stato saranno celebrati nel Duomo di Milano; la salma riposa oggi al cimitero Monumentale, accanto ad altre menti brillanti della scena meneghina.

La malattia e le difficili vicende che hanno costellato la sua esistenza hanno temprato il carattere e la personalità di una donna che non ha mai sfruttato il proprio talento per erigersi e autoproclamarsi superiore ad altri: Alda si è sempre mostrata in tutte le sue fragilità, mettendosi a nudo di fronte ai lettori, e ha raccontato le ombre della propria mente per dimostrare che l’arte e la bellezza vanno ricercate proprio là dove nessuno crede di poterle trovare.

Vogliamo lasciarvi con una delle dediche più profonde che l’autrice abbia regalato al mondo femminile: il capolavoro A tutte le donne. 

A tutte le donne 

Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso

sei un granello di colpa

anche agli occhi di Dio

malgrado le tue sante guerre

per l’emancipazione.

Spaccarono la tua bellezza

e rimane uno scheletro d’amore

che però grida ancora vendetta

e soltanto tu riesci

ancora a piangere,

poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,

poi ti volti e non sai ancora dire

e taci meravigliata

e allora diventi grande come la terra

e innalzi il tuo canto d’amore.

Alda Merini

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